Quando sulla targa -molto elegante porre sotto un
monumento l’elenco degli sponsor- ho letto “Comitati Snoq regione
Marche” ho pensato “I can’t believe!” e ho cercato di capire come mai Snoq
avesse sostenuto Violata quando molte donne di Snoq di Ancona hanno espresso il
loro dissenso.
Ad Ancona ci sono due Snoq, Comitato 13 febbraio Se non ora quando Ancona, e Se non ora
quando Ancona (il primo è nato prima del 13 febbraio 2011, il
secondo da una successiva uscita di alcune dal gruppo fondatore).
Del primo fa parte ad esempio Giuliana Brega, fortemente contraria alla statua, di cui auspica la rimozione: “Quando l’ho vista mi ha fatto male” dice rammaricandosi
di non aver verificato personalmente come stesse procedendo il progetto,
affidato a persone di cui ha molta stima, come la stessa Adriana Celestini. “Ho
avuto un sentore che qualcosa non andasse – dice – solo durante la conferenza
stampa, pochi giorni prima dell’inaugurazione, quando lo scultore, Ippoliti, ha
detto con aria compiaciuta che ci sarebbero state delle polemiche;
pensavo però si riferisse ai finanziamenti, ai sostenitori eccetera”.
Del secondo Snoq fa invece parte Marina Barausse, a cui invece la statua piace e la difende: ”Se è vero che dopo una violenza una donna difficilemente può
reagire con tale immediata fierezza, è vero però anche che un’opera artistica
(e questa lo è) non è quasi mai una rappresentazione fedele della realtà quanto
invece un’interpretazione simbolica del mondo emotivo di chi la crea e di chi
la guarda. Se per una volta l’immagine della donna vittima viene
sostituita da quella di una donna che reagisce e si rialza con fierezza, io lo
considero un simbolo importante di coraggio e riscatto, non una mancanza di
rispetto per il dolore subito”.
Nelle marche ci sono poi altri gruppi Snoq
a Osimo, Pesaro, Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto, che, ci dice
Marina Barausse, avevano aderito all’iniziativa senza aver visto la statua.
Su Snoq ci
chiarirà le idee un comunicato stampa del Comitato 13 febbraio Se non ora
quando Ancona, previsto per oggi pomeriggio.
Ho parlato poi con Pina Ferraro, che, pur essendo consigliera di parità ad Ancona – e quindi impegnata sulla parità di genere in ambito lavorativo – ha un’
esperienza professionale di più di quindici anni sui centri antiviolenza,
essendo stata ricercatrice e fondatrice a Catania di un centro
antiviolenza (appartenente oggi all’associazione Di.Re.).
Pina Ferraro non ha seguito il progetto, né ha visto
prima la statua, ma le è stato chiesto di partecipare in qualità di moderatrice
alla tavola rotonda sulla violenza che ha seguito l’inaugurazione della statua.
-Quando è stata
scoperta la statua cos’ ha pensato?
Io ci sono
rimasta male. Mi sono sentita destabilizzata.
Abbiamo parlato tra alcune delle
presenti, e alla tavola rotonda sono emerse le prime criticità, soprattutto da
parte delle donne di Snoq- sia sulla statua e sia per il fatto che non erano
stati invitati i centri antiviolenza.
-Alla tavola
rotonda sulla violenza non sono stati invitati i centri antiviolenza della
città?
C’è un problema
di disinformazione, oltre che sugli stereotipi, su cosa sono i centri
antiviolenza, che si accomunano alle case rifugio, come se fossero la stessa
cosa. Siccome all’inaugurazione del mattino aveva partecipato la
responsabile di una Casa rifugio, probabilmente non si è ritenuto invitare i
centri antiviolenza nel pomeriggio. Bisogna dunque fare una considerazione
molto più ampia.
La casa rifugio è uno dei tanti
strumenti da utilizzare per sostenere le vittime di violenza, quando ci sono
difficoltà particolari, ma lo strumento cardine della lotta contro la violenza
è il centro antiviolenza.
Le donne che subiscono violenza sono
donne di qualunque estrazione, di qualunque cultura, donne che vogliono restare
a casa loro.
Quindi si cade sempre nei luoghi
comuni, manca l’informazione.
-Anche di chi
fa politica?
Soprattutto di
chi fa politica.
Da quando occupo questo ruolo
istituzionale mi rendo conto che la maggior parte di chi in politica si occupa
di violenza non sa di cosa sta parlando e fa solo demagogia.
Abbiamo delle leggi scritte bene,
anche in tema di parità, ma poi non abbiamo assessori o sindaci competenti.
L’unica cosa positiva in questa
faccenda è che sta facendo emergere che sul fenomeno della violenza, anche in
contesti come Ancona dove ci sono buoni servizi e ci sono state buone
politiche, si cade ancora nello stereotipo e del pregiudizio.
-Ma pur sapendo
questo lei si è fidata di questo progetto?
Ammetto che
avrei potuto, a livello personale, interessarmi sulle decisioni che si stavano
prendendo, sarei dovuta andare oltre il mio ruolo istituzionale.
Adriana Celestini è una persona
seria, non avevo dubbi che potesse essere una cosa seria, così è stato forse
nel suo intento.
Ho voluto rispettare i miei confini,
non invadere spazi di altri, e per questo ora sono arrabbiata con me stessa.
-E adesso che
succederà?
Dobbiamo sempre
cercare la possibile costruzione, anche dagli eventi più traumatici. Forse
perché mi occupo di violenza da tanti anni sono abituata a ripartire, a
ricostruire anche dalle macerie. Bisogna andare oltre la critica,
ammettere l’errore, umanamente comprensibile.
Spero che questa esperienza serva a
fare questa riflessione, e se non si farà, si sarà persa un’occasione.
Credo ci si dovrebbe sedere attorno
a un tavolo e dirsi “Da dove ricominciamo”?
-Dal togliere
la statua?
Secondo me sì.
Di parere completamente diverso invece Ivana Iacchetti, dirigente dell’area pari
opportunità della Regione Marche, che della
statua è entusiasta.
-Come siete
arrivati alla scelta della statua?
E’ opportuno che telefoni alla
presidente Celestini, al consiglio regionale, io le posso dare un parere
personale.
Credo si stia perdendo tempo su una
cosa inutilmente. Un simbolo è un simbolo, può piacere o non piacere, tutto
quello che c’è dietro sulle problematiche delle donne sta in piedi, ognuno
porta avanti il suo lavoro con impegno, il resto è un inutile polverone.
-Lei non pensa
che un’immagine così sensuale e spavalda non ricalchi lo stereotipo della donna
oggetto?
Ma no!, Perché?
Perché? le donne violentate devono essere per forza brutte e remissive? Puo’
essere anche una bella donna che alza la testa e decide di affrontare con rabbia
quello che le è successo.
Con tutte le cose che c’abbiamo,
compresa la città di Ancona, andiamo a pensare ci andiamo a preoccupare di una
statua.
-Lei non la
trova un insulto al dolore delle donne violate?
Io trovo che sia il simbolo di una
immagine femminile che reagisce, nella sua bellezza, stracciata, e violata,
però è una bellezza che reagisce.
Come servizio
ci saremmo posti il problema se farlo o no, siccome è cosa che hanno scelto
altri io giudico la coa che ha suscitato a me vederla. Io mi ci sono
identificata, quando è stato tolto il drappo io mi ci sono sentita
rappresentata.
-In cosa?
In chi reagisce agli insulti
quotidiani, non necessariamente violenti, anche psicologici. Io ne ho subito
tanti e ho reagito con fierezza, non mi sono piegata e
continuo a
reagire.
-Un
investimento così importante dal punto di vista economico, soprattutto di
questi tempi, le sembra opportuno?
Non è un
investimento a carico delle pari opportunità regionali, lo è in misura ridotta
ridotta, per la maggior parte da sponsor privati.
Per cui il denaro pubblico è speso
poco. E poi complessivamente è costato 20.000 euro, di cui molti
sono stati trovati da sponsor privati, non è un costo tale che può far
gridare “Oddio che spreco di fondi pubblici!”, con tutto quello a cui
assistiamo tutti i giorni, che dice?
-Ma quant’è la
parte di soldi pubblici?
Quanto ci ha
messo il consiglio regionale non lo so, come giunta noi abbiamo promesso un
piccolo contributo, al massimo 3000 euro.
Per qualsiasi infimo convegno si
spende di più, sono cifre irrisorie, risottolineo l’inutilità di questa perdita
di tempo.
Come diceva Totò, dunque, quisquilie e pinzillacchere!
Intanto in città è partita una raccolta firme per la rimozione di Violata, che in pochi giorni ha raggiunto quota 700.
Potete aderire, come ho fatto io, cliccando qui!
E nel frattempo qualcuno ha gentilmente offerto a Violata
un accappatoio per proteggere almeno le proprie nudità; forse ci stiamo
affezionando!?
Di Cristiana Obber
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