Violata è il titolo di un'opera inaugurata sabato scorso ad Ancona.
La prima
statua in Europa in onore delle donne vittime di violenza - così viene
presentata da diversi giornalisti - è un'opera realizzata per il comune dallo
scultore Floriano Ippoliti.
Fattezze
giunoniche per un simulacro di donna a testa alta con abiti stracciati sui
punti giusti e, pertanto, sodi seni e glutei al vento, vita molto bassa e gambe
divaricate. Completa il tutto una borsetta con manico, un pò vintage.
Ah,
dimenticavo: il tutto è incomprensibilmente blu, per la gioia degli estimatori
di Avatar (o di Puffetta).
Come nasce l’opera? Così risponde Floriano Ippoliti ad un quotidiano
online abbruzzese:
“Ero rimasto molto colpito da un
fatto di cronaca avvenuto due tre anni fa: una signora tornando dalla spesa era
stata violentata e uccisa. Mi chiesi come avrei reagito, cosa avrei
provato se fosse successo a mia moglie. La cronaca ci riporta immagini di donne
violate con il capo reclinato, in atteggiamento di grande sofferenza e grande
timore. Io invece ho voluto rappresentare una donna che reagisce, che per
prima cosa raccoglie la sua borsa e poi rialzandosi guarda fiera al futuro, non
lasciandosi intimidire dalla violenza subita”.
Taglio corto:
io trovo questa immagine un pugno nell'occhio prima ancora che una
rappresentazione stereotipata e controproducente di un fenomeno.
È sempre
piuttosto imbarazzante dire di un'opera artistica che la si trova brutta,
semplicemente brutta. Ma se c'è una libertà dell'espressione artistica, perché
non dovrebbe essercene una, pura e semplice, di chi ne fruisce?
Detto questo, il tema affrontato da
Ippoliti è un tema sociale di grande rilevanza, che chiama in causa chiunque.
Per questa ragione la riflessione sul come lo si rappresenti è doverosa, non perché
ad un'artista si debbano imporre solo opere in qualche modo didattiche, che
fotografino correttamente la realtà, ma perché la genesi di
quel come probabilmente ci fotografa come comunità, dicendo molto del
modo in cui il fenomeno è sentito. Tanto più che la statua di Floriano Ippoliti
è stata voluta e poi accolta da una comunità, dai suoi rappresentati
istituzionali, da diversi cittadini e perfino da alcune associazioni femminili,
stando a quanto riportato da alcuni notiziari online locali (Fonte: Notizie
di zona).
È lo stesso Ippoliti a dire che lo spunto
per il suo lavoro è stata una reazione emotiva ad una notizia di cronaca (presumibilmente conforme ai consueti canoni
giornalistici sull'argomento, ovvero sbattuta in faccia con un misto di
approssimazione e morbosità splatter).
Verosimilmente
l'impatto della notizia ha immediatamente innescato l'immedesimazione, la
fatica di tollerarla e il bisogno conseguente di fuggire un dolore toccato in
vivo per poco meno di un'istante.
In circostanze
come queste, ci si porta però appresso l'orribile idea che la prossima volta
possa anche toccare a te (se si è donne) o a tua moglie.
Se si è - almeno - avuta la lucidità di non attribuire la colpa alla stessa
vittima (per i suoi vestiti provocanti per esempio) è effettivamente piuttosto
difficile pacificarsi l'animo ed estrarre se stesse o la propria
moglie/sorella/figlia dal novero delle possibili "prossime".
L'informazione
appiattita sulla sola emozione produce questo: attiva, ed anche parecchio, ma
innesca reazioni piuttosto che conoscenza e creazioni.
Di qui al sentire l'urgenza di negare
l'effetto di un atto che uccide, immaginando (e augurando) una veloce resurrezione
con tanto di borsetta alla mano, il passo è breve. E - come 'Violata' insegna -
non è detto che a quel punto non risbuchino dalla finestra certi stereotipi
sull'aspetto delle candidate ideali alla violenza che magari si erano cacciati
via dalla porta principale del regno delle intenzioni.
Molte donne impegnate in una riflessione
critica sulla rappresentazione del femminile nei media (Michela Murgia, Lorella
Zanardo, Loredana Lipperini, Luisa Betti, le blogger di Vita da Streghe e Un
altro genere di Comunicazione, solo per citarne alcune) hanno più volte
sottolineato la pericolosità di una comunicazione sul tema della violenza di
genere che raffigura la donna come bersaglio fragile da proteggere dal rischio
- connaturato all'essere donna, secondo questa visione - di essere
"sporcata".
Rappresentazioni del genere schiacciano le donne nel ruolo di vittime e
mistificano la realtà insinuando sottilmente che donne forti e volitive siano
immuni dal rischio di subire violenza, idea ampiamente contraddetta dai dati.
Paradossalmente
però, nel caso dell'artista Ippoliti l'obiettivo di rappresentare una donna non
schiacciata, ma in grado di rialzarsi e guardare al futuro, ci consegna un'immagine stridente che non a caso non può che chiamarsi,
ancora e soltanto, Violata.
Quell'auspicio
- abbastanza superficiale - che le donne sappiano non farsi intimidire,
mi fa sorridere amaramente, perché i segni della violenza sono lividi nella
psiche e spesso sul corpo, mai timidi rossori facili da scacciare, magari con
un pò di selfhelp.
Qualcosa
accomuna le "rose bianche sporcate dalla nera violenza" (di una nota
campagna istituzionale) e l'eroina blu-avatar di Ippoliti.
Azzardo un'ipotesi: mentre nel primo tipo di immagini si mette in scena la
volontà di tutelare unprima mitico connotato dalla purezza e dalla
bontà di chi, in quanto pura e fragile, non merita la violenza, nella
rappresentazione un pò bionica di Ippoliti si auspica una sorta di tutela
del futuro, ma quello di chi?
L'idea che la
donna assuma in qualche modo la violenza subìta e la metabolizzi velocemente,
in fondo non è nuova, al contrario, mi sembra richiami una retorica patriarcale
che santifica le donne-madricoraggio in grado di passare oltre a dolori anche
estremi pur di garantire il futuro dei figli/della comunità, facendosi forza
per gli altri.
Il passato ed il futuro
anteriore mi sembrano i tempi privilegiati da
entrambe queste tipologie di rappresentazioni del fenomeno.
Ma chi si farà carico, con le donne che vivono la violenza, del loro
presente e del loro futuro prossimo?
Le nostre comunità non sono probabilmente ancora del tutto disposte a
farlo, lo rappresentano molte comunicazioni istituzionali come molte prove
artistiche (o pseudo-tali).
Di Louise Bonheur
http://al-mafraj.blogspot.it/2013/03/un-monumento-alle-donne-violate-quando.html