Urlo Violata è di Carla Giacchella, Gioconda Violata e Venere Violata sono di Eugenio Saguatti

Che storia è questa?

Il 23 marzo 2013, appena fuori da una galleria e dal centro di Ancona, viene inaugurata “Volata”, il monumento in onore delle donne vittime di violenza, voluto da diverse istituzioni tra cui il Comitato per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna della Regione Marche e realizzato da Floriano Ippoliti sul modello di una sua precedente opera titolata Donna con borsa. La statua, un po’ per il colore, un po’ per l’opinabile messaggio, viene prontamente avvistata da Emanuela Ghinaglia, rappresentante del comitato Se non ora quando di Cremona, che lancia un appello su facebook al fine di rimuoverla. Cristina Babino e Alessandra Carnaroli sono le promotrici della petizione, che nel giro di pochi giorni supera le 1700 firme, loro iniziativa anche i numerosi appelli e comunicati stampa rivolti alla Commissione Pari Opportunità nella continua ricerca di un confronto e un dialogo sulla questione.

Violata ha già iniziato un nuovo viaggio e ha già conquistato nuovi significati, grazie a tutti coloro che hanno partecipato ironicamente, artisticamente, ideologicamente, concettualmente, teoricamente e praticamente alla protesta. Questo blog prova a raccogliere i contributi, gli articoli e la documentazione relativa alla vicenda, senza escludere anche i pareri favorevoli alla statua.

Qualsiasi sia il destino di Violata speriamo non sia quello di rappresentare le donne vittime di violenza, nella speranza che questo episodio sia l’espediente per affrontare meglio la quotidiana tragedia di cui le donne non dovrebbero più essere protagoniste, perché il rispetto è un diritto SEMPRE, come recita la targa su cui poggia Violata…

Elena Pascolini


venerdì 28 giugno 2013

Monumenti dedicati alle vittime di violenza Flor de Arena, Campo Algodonero - Messico

altri monumenti dedicati alle donne vittime di violenza, da sinistra in alto: Ciudad Jaurez, Washington, Ontario, Bosnia, North Korea, Montreal, Ottawa, Ontario, Congo






Monumento contro la violenza domestica, St Maartens Antille Olandesi







Women's Monument, Ontario
Monumento alle donne vittime di violenza, Sud Kivud - Congo
London Women's Monument, Ontario
Monumento alle Sorelle Mirabal, Puerto Plata Santo Domingo
Flor de Arena, Campo Algodonero - Messico




Monumento in memoria delle donne e dei bambini vittime di sfruttamento sessuale, Bergen New Jersey


Women's Monument, Ghana




Nel blu dipinto di blu La statua contro il femminicidio di Ancona

Ad Ancona è stato inaugurato, per la prima volta in Europa, un monumento contro il femminicidio.
Si potrebbe discutere su cosa voglia dire fare un monumento contro, ma non stiamo a sottilizzare. C’è ben altro.
Il monumento è questo:
La statua è in bronzo: ho visto un video in cui è evidente che il colore in realtà non è blu ma verde, ma comunque, diciamolo, la statua sfiora o forse oltrepassa lo sprezzo del ridicolo. Del resto se si guarda il modello, che non è colorato, non è che la mancanza del blu salvi la situazione (notate il pube – maliziosamente? – mezzo scoperto, poi corretto nell’immagine finale):
Una nota sulla borsetta: il riferimento (di dubbio gusto) dovrebbe essere all’omicidio della signora Reggiani, dato che vedo in rete una dichiarazione dell’artista autore dell’opera, Ippoliti, che dice:

Ero rimasto molto colpito – spiega Floriano Ippoliti – da un fatto di cronaca avvenuto due tre anni fa: una signora tornando dalla spesa era stata violentata e uccisa. Mi chiesi come avrei reagito, cosa avrei provato se fosse successo a mia moglie. La cronaca ci riporta immagini di donne violate con il capo reclinato, in atteggiamento di grande sofferenza e grande timore. Io invece ho voluto rappresentare una donna che reagisce, che per prima cosa raccoglie la sua borsa e poi rialzandosi guarda fiera al futuro, non lasciandosi intimidire dalla violenza subita”

 Allora: Ippoliti ha ragione (l’unica cosa) nel dire che sono stereotipate le immagini, come questa qui a lato, usate di solito sui media per illustrare i casi di violenza. Ma per reagire allo stereotipo mette in scena la cugina di Sub-Mariner (anche le tette sembrano opera di un disegnatore Marvel) con la borsetta. Perché una donna violentata si rialza e riprende la borsetta. E continua fiera il suo cammino verso il futuro. Con la borsetta.


Sarà.

Buttiamola in politica

A molti la statua pare brutta: non sono convinto. Probabilmente è concepita male, perché permette le facili ironie che anche io ho usato, ma brutta non saprei.
Invece è politicamente che è impresentabile. In Messico si parla di femminicidio per le migliaia di donne rapite, violentate, uccise e fatte sparire nel deserto come prova di machismo da parte deinarcos. Siamo lontani anni luce dalla borsetta.
Ma anche rispetto all’Italia si travisa il fenomeno: perché da noi il termine “femminicidio” è riferito principalmente a donne uccise (uccise: quindi non si rialzano verso il futuro) in famiglia (cioè in casa, dove di solito una non gira con la borsetta) da persone ben note, parenti o fidanzati (non dal primo rom che incontri tornando dal fare la spesa). Ippoliti si presta quindi a un’opera di travisamento e di mistificazione con venature consolatorie del fenomeno che vuole rappresentare, non dissimile da quello operato da tante statue dedicate ai caduti:

Qui c’è il fucile al posto della borsetta, ma per il resto ci siamo, direi. La retorica patriottarda e militarista ha prodotto i monumenti ai caduti, ad Ancona è all’opera un altro tipo di retorica.

Parole vuote

Il che ci porta alla riflessione che ho fatto per prima cosa vedendo la statua. Ma un monumento contro il femminicidio, come dovrebbe essere? Ancora prima: ma che senso ha fare un monumento su questo tema? Per rappresentare cosa? Un monumento esprime una parola o una memoria collettiva su un argomento: in questo caso che cosa avrebbe voluto mettere in comune la gente di Ancona, anche prescindendo dalla interpretazione di Ippoliti?
Il problema è che non ci sono risposte facili, o ovvie, e l’impressione è che le buone signore della Commissione Regionale per le Pari Opportunità delle Marche che hanno commissionato l’opera non la sappiano neanche loro, la risposta, ma abbiano un’idea molto generica, anzi liquida, della questione: qualcosa su cui tutti sono contrari, ci mancherebbe, che va dalle violenze psicologiche all’omicidio e che ognuno si taglia e si cuce un po’ a misura sua. Vallo a fare un monumento, con queste premesse.
Occhio: non sto dicendo che il tema del femminicidio non sia rappresentabile in assoluto. Pochi giorni fa in varie piazze in tutta Italia sono state deposte delle scarpe rosse, per ricordare le donne che non le potranno più indossare. Ma quella è unamanifestazione, un flashmob, serve a catalizzare attenzione, a far convergere le energie verso un obiettivo comune. E comunque, anche se le scarpe rosse sono simbolicamente più forti e esteticamente più gradevoli della statua di Ancona, anche loro non è che veicolino un grande contenuto, eh. Anche in questo caso se si prova a tradurre il gesto poco dopo si arriva a un punto morto.
Il problema è che le parole, tutte le parole, dopo un po’ si svuotano del loro significato e diventano innocue, oppure dei semplici segnali a cui nessuno dà peso.
Facciamo un esempio: la parola ecologia. Se trent’anni fa era dirompente, adesso non vuol dire più niente, tant’è vero che l’AGIP se ne può ammantare nelle sue pubblicità facendo vedere petroliere e delfini felici. Si è corsi ai ripari con ambiente o verde ma anche lì nel momento in cui il potere se ne impossessa si compie una parabola e servono non più sinonimi nuovi ma significati nuovi e politiche nuove.
Un esempio che mi è più prossimo? Vicino a casa nostra c’è un ulivo meraviglioso, piantato anni fa daiLions “per la pace”. Ora, a parlare di pace in questo modo sono bravi tutti: poi nel frattempo l’Italia ha bombardato due volte l’Iraq e una volta ciascuna Serbia e Libia, ma nel parco di Bonaria c’è un ulivo per la pace. Secondo me ai Lions non fa problema, o perlomeno “pace” vuol dire talmente tante cose che puoi avere insieme l’ulivo e i bombardamenti.
Sto pensando di aggiungere una nuova regolaquando su una parola è possibile per il Rotary fare un monumento (o un convegno), allora quella parola è innocua.
Ho l’impressione che la Commissione Pari Opportunità delle Marche sia un po’ tipo il Rotary de noantri, quindi direi che la catastrofe della statua segnala, soprattutto, che “femminicidio” è una parola che non vuol dire più niente: buona per fare gazzosa e poco altro.
Il che però apre un altro problema: “ecologia” ci ha messo trent’anni a logorarsi. Di femminicidio si parla in Italia da molto poco ed è una parola attorno a cui si aggregano militanze. Come è possibile che sia già merce da pii comitati? Non dovrebbe avere mantenuto più a lungo una certa carica eversiva (prescindendo dal fatto, non del tutto insignificante, che un paio di centinaia di donne all’anno continuano a morire)?
Secondo me, qui, c’è un problema politico, che forse dipende anche da come il tema è stato impostato e dalla qualità delle militanze che lo portano. Nei vari dibattiti in rete ho visto questo commento, così corrosivo da essere sgradevole
Chiunque sia l’autore/autrice, dirà che non capite nulla d’arte; che l’arte non deve essere né pedagogica, né naturalistica e che neppure deve piacere. Siete voi a non capire. Le parole che vengono a me sono queste: è un degno monumento alla retorica che si fa sul femminicidio. Argomento di cui tutti parlano ma sul quale, andando alla sostanza, non ho ancora letto una proposta concreta e decente che sia una. Indubbiamente è un buon argomento per spandere fiumi di inchiostro, arricchire curriculum, favorire carriere e fare bella mostra di sé per intellettuali, politici, comici, e, da oggi, a quanto pare, anche per artisti.
È pesante, però c’è dentro parecchio di condivisibile. È il femminicidio un tema un po’ radical chic, o adatto a signore borghesi di una certa età? Che peso ha il concetto nella vita delle giovani o delle giovanissime, delle donne poco istruite o economicamente svantaggiate? La Boldrini ha promesso una legge. Abbiamo istituito la Giornata delle Memoria: l’antisemitismo in Italia è aumentato e Casapound e Forza Nuova sono arrivati a presentarsi alle elezioni. In questo caso una legge sarebbe una vittoria o il chiodo definitivo sulla bara, che consegna una volta per tutte il tema alla retorica ufficiale?
Forse, se non si vuol buttare via l’acqua sporca insieme con il bambino, qualche contenuto in più al dibattito sul femminicidio glielo si dovrebbe dare.
Altrimenti si può sempre chiedere al Rotary di organizzare un convegno.
Roberto Sedda

mercoledì 26 giugno 2013

Una donna qualsiasi

Io sono una persona molto qualsiasi e ho deciso di rappresentare le persone molto qualsiasi  nella battaglia contro la statua Violata che pretende di onorare le vittime di violenza. C’è bisogno anche del parere di  noi qualsiasi dal momento che  a essere stuprate, uccise, picchiate, insultate e spesso umiliate per futili motivi può essere proprio qualsiasi donna, anche una che abbiamo avuto al nostro fianco e che abbiamo ammirato incredibilmente per il suo spirito, la sua tempra e la sua forza d’animo. Sto parlando di una persona che ho conosciuto e che  ricordo sempre con immenso piacere: una ragazza che sembra la fatina primavera ma con l’humor di Letterman   e  la forza di Giovanna D’Arco. L’ho incontrata durante un terremoto perché lei ha la passione di andare a soccorrere le persone qualsiasi dopo i cataclismi, lo fa veramente come se facesse una cosa qualsiasi, senza mai una parola di autocelebrazione, senza mai vantarsene e senza mai postare foto su facebook.  Credo che ci unisca questo essere profondamente due persone qualsiasi, forse per questo motivo, dopo tanto tempo che non ci sentivamo, mi ha mandato un messaggio dove mi scriveva che lei, quella statua, non la può guardare, che ha cambiato strada per andare al lavoro pur di non trovarsela di fronte, che secondo questo stesso principio allora si dovrebbe fare  una statua di bronzo di un ragazzo insanguinato tra le lamiere contorte, per ricordare le vittime della strada. E anche la statua di una piccola bara bianca circondata di parenti devastati, per sensibilizzare sul problema delle morti infantili. Perché ci sono tematiche che richiedono metafore e delicatezza e altre che ci vengono sbattute in faccia senza nessun rispetto? Perché, lei, vittima di violenza deve ricordare quello che ha passato in maniera così brutale?

Io non lo sapevo e non me lo potevo immaginare e ho fatto un pensiero che non si deve fare ma mi è uscito così e quindi lo dico. Ho pensato: no! Tu no! Tu non lo meriti! Ovviamente subito dopo ho pensato: ma chi se lo merita? ma chi si merita di essere brutalizzato e poi commemorato da questo oggetto inutile? Le donne morte non possono più dire la loro ma le sopravvissute possono solo cercare di non guardare e di cambiare strada. Chissà che fanno gli stupratori, i violenti, gli assassini davanti a Violata?  Me lo sono sempre chiesto. Chissà quante riflessioni e rimorsi di coscienza suscitano quelle grandi chiappe verdi e quella orribile borsetta,  chissà quante violenze scampate grazie a questa visione ispirata!
 La verità  è che neppure il suo autore, neppure le sostenitrici, le promotrici, e tutti coloro che appoggiano questa assurda statua, se la meritano.
Ovviamente questa persona di cui vi ho parlato chiede di rimanere anonima perché, di persone molto qualsiasi come lei ne incroci a bizzeffe tutti i giorni ma non ti diranno mai che in effetti fanno cose straordinarie e alle volte subiscono anche ingiustizie straordinarie.

Elena Pascolini

Come e quanto le donne sono complici dello stesso incubo di cui sono vittime?

La violenza contro le donne in ambito domestico sembra aver subìto la sorte di tutti i grandi «rimossi» della storia: comportamenti umani considerati a lungo «naturali» e per questo destinati a diventare invisibili che vengono improvvisamente allo scoperto, tra lo stupore e l’incredulità. È stato così per la sessualità femminile, identificata a lungo con la procreazione, e per la divisione sessuale del lavoro, regolata sulla base dei ruoli complementari dell’uomo e della donna.
La centralità che è venuta prendendo una vicenda drammatica, dai risvolti culturali e politici profondi, dopo essere stata a lungo confinate nelle «brevi di cronaca», è certamente importante. Ma il passaggio successivo avrebbe dovuto essere l’analisi del fenomeno in tutti i suoi aspetti, compresi quelli più ambigui e contraddittori.
Lo sguardo portato quasi esclusivamente sulle vittime, laspettacolarizzazione della violenza attraverso la fiction televisiva o la messa in scena teatrale -che è quello che sta accadendo- può portare invece, senza volerlo, all’effetto opposto.
Ne è esempio evidente il monumento eretto il 23 marzo 2013 su una piazza di Ancona «in onore di tutte le donne vittime di violenza»: la figura femminile così come vi è rappresentata – abiti stracciati che coprono a mala pena alcune parti del corpo, lasciando scoperte le natiche, gambe divaricate e sguardo vuoto fisso davanti a sé – è, come è stato notato da più parti, «unperfetto oggetto sessuale», una donna violabile, più che «violata».
Un osservatorio più complesso è quello offerto dal libro del blog La 27 Ora Questo non è amore (Marsilio 2013), sia per la varietà delle voci chiamate a dar conto della violenza da prospettive diverse – avvocati, medici, forze dell’ordine, operatori dei centri antiviolenza -, sia per aver raccolto le testimonianze di vittime e uomini maltrattanti consapevoli dell’ambiguità dei loro comportamenti.
Il riferimento alla «cultura» dentro cui va a collocarsi l’esercizio del potere maschile nelle sue forme più arcaiche – come potere di vita e di morte – perde l’astrattezza con cui viene nominato dai media per incorporarsi nelle fantasie e nei pensieri delle figure sociali che ne sono, sia pure in modo diverso, coinvolte.
Vengono così in primo piano i legami inquietanti e apparentemente inspiegabili tra amore e violenza, libertà e pulsioni incontrollabili, tenerezza e rabbia, ribellione e resa incondizionata. Allo stesso modo diventano imprescindibili domande scomode che ancora si esita a formulare:
Come e quanto le donne sono complici di quello stesso incubo di cui sono vittime»
Da dove nascono le fragilità e le paure maschili per produrre così “naturalmente” un atto aggressivo?
Se è importante – come recita il titolo del libro – dire che «non è amore», lo è altrettanto riconoscere, come emerge dalle testimonianze, che la violenza parla purtroppo il linguaggio di un amore attraversato da logiche di guerra, che la vittima e l’aggressore a volte sembrano scambiarsi le parti, in un circolo vizioso senza fine.
«Avevo mille dubbi. E anche sensi di colpa. Forse qualcosa nel mio comportamento poteva averlo spinto a tanta rabbia scatenata. E poi mi vergognavo. Cosa avrei raccontato alle tante persone che incontravo ogni giorno?» (Ileana Zacchetti, assessore alle Pari opportunità del comune di Opera).
«La prima volta che mio marito mi ha picchiata sono rimasta sorpresa, ma l’ho presa come una dimostrazione di affetto: anche mio padre da piccola mi picchiava sempre. Se mi menava era perché mi amava. Me lo meritavo, avevo sbagliato io. Anche lui lo diceva: stai buona, non capisci niente» (Sara).
«Ho studiato psicologia. So benissimo quali sono i segnali da non sottovalutare. Ero consapevole che sarebbe andato tutto a rotoli. Ma non volevo rassegnarmi. Non volevo perderlo. Mi chiedeva sempre scusa tra le lacrime. E io ricascavo nel meccanismo: “io ti salverò”» (Giovanna).
«C’è stato un momento in cui le ho stretto le mani intorno al collo. Lei è andata al Pronto Soccorso. Era sotto shock, come lo ero anch’io. È stato un momento davvero drammatico. Siamo anche tornati insieme. Ora conviviamo ma non siamo più una coppia. L’amore è finito. Ma le sono vicino, cerco di non farle mancare nulla. Le voglio tanto bene (…) L’uomo violento è un uomo fragile, estremamente fragile, le sue paure vengono da chissà dove. A volte hanno paura delle donne, quando riconoscono la loro superiorità o vedono che la loro compagna diventa autonoma. Si diventa gelosi. Non volevo essere il padrone di questa donna. Le mie paure erano dovute al fatto che non riuscivo a gestire il rapporto in maniera matura (…) avevo paura di restare solo. Mi ero abituato alla convivenza. Anche adesso sono abituato. Vado a casa, la vedo e mi fa piacere sapere che è ancora lì» (Francesco).
«La sera prima mi aveva fatto una scenata, le avevo detto che era finita, che non ne volevo più sapere, che non ero più padrone delle mie reazioni. E il giorno dopo si è ripresentata chiedendomi scusa (…) l’ho mandata via in malo modo. Quando mancano le parole non sai più cosa fare» (Mario).
Nel momento in cui quello che sembra essere il nodo diabolico della violenza domestica – «regali un giorno, coltello alla gola il seguente» - viene portato fuori dagli interni di famiglia, anche la complicità che ne ha permesso una sopportazione senza limiti perde le ombre del mistero e dell’inspiegabilità.
Si fa più chiara, in questo modo, anche l’urgenza di avviare processi educativi e formativi che partano da quella che è stata considerata finora la «normalità» del rapporto tra i sessi: in quanto vicenda «privata», gerarchia di potere, separazione tra ruoli produttivi e riproduttivi, responsabilità sociali e politiche e compiti di cura.
Se la violenza manifesta – stupri, maltrattamenti, persecuzioni, omicidi – è rimasta così a lungo sepolta nelle case, è perché «il dominio maschile, nella sua forma più insidiosa, perché invisibile – come scrive Pierre Bourdieu nel suo libro Il dominio maschile (Feltrinelli 1999) – è inscritto in tutto l’ordine sociale e opera nell’oscurità dei corpi».
 http://27esimaora.corriere.it/articolo/come-e-quanto-le-donne-sono-complici-dello-stesso-incubo-di-cui-sono-vittime/