In un precedente articolo avevo parlato di “Violata” la statua eretta ad
Ancona come simbolo contro la violenza sulle donne. Avevo spiegato il mio
disagio di fronte a questa raffigurazione sbagliata per più di un verso. Questo
monumento peraltro è stato soggetto a molte critiche non dissimili a quelle da
me riportate. La commissione delle pari opportunità della Regione Marche, per
quanto di mia conoscenza, a oggi non ha fatto un passo indietro su questo
monumento. Un commento di Stonehand su facebook mi ha fatto riflettere. Esiste un modo “giusto” per costruire
un monumento in memoria delle vittime della violenza sessuale?
Questo articolo è frutto di una breve ricerca che non
mi ha portato via davvero molto tempo. Mi chiedo se la Commissione della
Regione Marche abbia fatto una ricerca di questo tipo e se in base a questa
ricerca sia in grado di giustificare in modo persuasivo la scelta fatta. Mi
chiedo se abbia verificato l’esistenza nel mondo di raffigurazioni simili a
quella scelta per Ancona e se abbia valutato l’impatto sull’opinione pubblica
di una scelta così controversa. Questa ricerca è tutt’altro che estesa,
sicuramente non sono stato in grado di trovare molti memoriali che affrontano
questo tema.
Per quanto mi riguarda, non sono stato in grado di
trovare raffigurazioni simili, raffigurazioni che cioè ritraggano la vittima
con orgoglio e quasi con un atteggiamento di sfida. Per non parlare
dell’aspetto erotico (non stiamo a girare troppo intorno: la statua di Ancona
ha una forte componente erotica, ed è questo l’aspetto più distrubante
dell’operazione).
Il primo monumento ricorda la violenza sessuale perpetrata in Bosnia in
tempi molto recenti. E’ una semplice lapide scura, a forma di cuore, che
riporta i nomi delle vittime e un’iscrizione che rievoca i fatti e invita alla
riflessione. Come è evidente, non c’è alcuna rappresentazione di figure umane
più o meno vestite. In questo caso il riferimento è a un fatto storico ben
preciso.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un fatto storico ben preciso:
il rapimento di donne coreane da parte delle forze militari giapponesi durante
la seconda guerra mondiale poi reclutate come “comfort women” e cioè per la
prostituzione forzata. La questione è un nervo scoperto per le autorità
giapponesi che negano quanto è accaduto e in alcuni casi riportano che tutte le
“comfort women” fossero in realtà volontarie. Alla fine della guerra, tutti i
documenti riguardanti le donne coreane vittime di violenza sono state distrutte
dalle forze giapponesi in ritirata per paura di ritorsioni e di processi per
crimini di guerra. Tranne qualche documento che indica chiaramente cosa è
successo. Questo monumento è a Palisades Park, New Jersey. Di quelli da me
indicati in questo articolo è l’unico che riporta una figura umana. La vittima della
violenza è in un angolo, rannicchiata e sofferente. Davanti a lei, in posizione
minacciosa, un soldato giapponese. Il significato di quello che è accaduto è
inequivocabile. La targa è corredata da un testo esplicativo. Le autorità
giapponesi hanno cercato di fare pressione sul sindaco di Palisades Park per
far rimuovere la targa, senza successo (fonte).
Questo monumento è a Phoenix, Arizona. il testo recita all’incirca: “ogni
anno in media 19.000 componenti attivi delle forze armate degli Stati Uniti
sono vittime di aggressioni a sfondo sessuale da parte di commilitoni. A questo
trauma contribuisce la cortina di silenzio istituzionalizzata da parte dei
militari che rifiutano di riconoscere queste aggressioni. Innumerevoli uomini e
donne in servizio cadono in queste falle e vengono lasciati a loro stessi,
senza ricevere alcuna forma di supporto dallo stato che si sono impegnati a
servire. Onoriamo questi veterani silenziosi e continueremo a batterci perché
le loro storie siano note”. La targa è stata collocata dal Military rape crisis
center, un centro che si occupa della violenza sessuale in ambito militare. In
questo caso il memoriale è molto sobrio, un semplice testo protetto da una
lastra di vetro con l’indicazione del sito internet di riferimento. Anche in
questo caso non ci sono figure umane a corredo del memoria: sembra prevalere la
dimensione della riflessione.
Purtroppo non ho una fotografia per un altro memoriale
a Sidney, in Australia, dedicato a una vittima di violenza sessuale di nome
Mary. Mary nel 1996 è stata brutalmente picchiata e violentata in una strada di
Sidney. Poiché Mary era lesbica è possibile che l’assalto sia stato a sfondo
omofobo. La comunità del quartiere, indignata da questo evento ha creato un
memoriale, originariamente era un murale, ma dopo la ricostruzione di un
albergo (il Beresford Hotel) è stata realizzata una targa sul pavimento che
rappresenta una lampada, con un iscrizione. La lampada ha lo scopo simbolico di
tenere sempre accesa la memoria su quanto accaduto (qui la fonte di questa
informazione).
Un altro approccio efficace e alternativo al memoriale è l’installazione
temporanea. Per esempio questa installazione è stata collocata sullo specchio
d’acqua che collega il memoriale a Lincoln al monumento a Washongton, a
Washington DC, per sensibilizzare sul tema della violenza sessuale (non solo
sulle donne, ma anche sugli uomini: la percentuale è inferiore, ma lo stigma
sociale e il senso di vergogna sono comunque molto alti). La scritta è il verso
di un poema di un sopravvissuto e recita “Non riesco a dimenticare quello che è
accaduto, ma non lo ricorda nessun altro.
Questa installazione in realtà è un richiamo sulla
necessità di creare un memoriale nazionale dedicato alle vittime della violenza
sessuale, i cui parametri sono indicati in questo sito. E’
evidente che ancora non è chiara la forma di questo memoriale, ma questo è un
aspetto finale. Quello che sembra emergere è che nel processo di creazione e
design saranno coinvolti tutti i soggetti interessati (senza esclusioni). La
Commissione della Regione Marche sostiene che le parti che ora protestano a
monumento compiuto erano state partecipi del processo decisionale che ha
portato alla statua “Violata”. A questo punto mi sento di domandare: Le parti
che ora protestano, avevano visto disegni o bozzetti preparatori? Hanno avuto
modo di obiettare? Quanto sono state coinvolte le parti nel processo che ha
portato alla identificazione del tema, dello scultore e della realizzazione
materiale? Quale tipo di ricerca è stata fatta per arrivare a questa soluzione?
Sono state interpellate Associazioni e centri antiviolenza locali? Sono state
coinvolte vittime di violenza o è stata comunque richiesta la loro opinione?
Tutte belle domande che mi piacerebbe avessero una risposta.
(martedì, 9 aprile 2013)
Di Mauro Corso
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