Due notizie, per così dire, di servizio.
La prima riguarda ancora una volta Violata, la statua “contro la violenza sulle donne” di Ancona. Alle migliaia di firmatari
della petizione che la definisce inopportuna, la
commissione Pari Opportunità della Regione Marche ha risposto picche: non se ne
parla proprio, la statua rimane dov’è, abbiamo fatto bene, le nostre scelte non
si discutono.
Le reazioni sono di due tipi: la raccolta firme, che continua, e una protesta
sul web e dal vivo. In rete è nato un blog, Figli d’Arte Violata, che raccoglie
contribuiti scritti e grafici. Fateci un giro.
Per quanto riguarda le azioni dirette, lascio la parola a Cristina Babino e
Alessandra Carnaroli, promotrici della petizione:
“Una serie di post-it colorati con su scritto Non in mio nome, frase con la quale intendiamo ribadire un sentimento
comune e condiviso: donne e uomini che non si sentono rappresentati né come
vittime né come cittadini consapevoli e impegnati contro la violenza di genere.
Ricoprendo la targa con questi innocui, e facilmente rimovibili, post-it -
evitando quindi di toccare in alcun modo la scultura in sé, nei confronti della
quale, in quanto opera d’arte, continuiamo ad esprimere il nostro rispetto
-vogliamo simbolicamente riappropriarci di una battaglia che non può essere
combattuta attraverso messaggi svilenti e svianti che sembrano perseguire
l’unico fine di dare risalto a chi ha promosso l’iniziativa e che nella realtà
continuano a offendere le donne, in particolare quelle che nella loro vita
hanno subito violenza e a cui l’opera sarebbe dedicata.
Ribadiamo la convinzione che commemorare le vittime servendosi dell’immagine
stereotipata della donna come facile preda esclusivamente sessuale non serva a
una riflessione profonda e costruttiva sulla violenza che, in quanto abuso di
potere e tentativo di possesso, non è solo fisica ma ha radici e sviluppi
culturali, economici, religiosi e sociali.
La nostra è una forma di protesta e resistenza civile che proseguirà, in varie
forme e manifestazioni, fino a quando le Istituzioni locali non avvieranno un
processo di discussione e confronto sulle numerose istanze e obiezioni avanzate
nelle due lettere che abbiamo inviato agli organi competenti sull’argomento e
che, lo ricordiamo, non hanno ad oggi ricevuto la benché minima risposta, se
non il secco rifiuto, aprioristico e del tutto autoreferenziale, a rimuovere la
statua. Atteggiamento, questo, da parte delle istituzioni coinvolte, che
riteniamo ingiustificabile e inaccettabile in un Paese che voglia dirsi civile.
La nostra petizione prosegue intanto a ritmi sostenuti, arrivando ad oggi
acirca 1700 firme di liberi cittadini da Ancona, dalle Marche e da tutta
Italia,e ha trovato il sostegno di personalità autorevolissime come quella
dell’europarlamentare On. Silvia Costa, da sempre impegnata nella lotta per
l’uguaglianza tra i generi e i diritti civili, che in un messaggio alle
promotrici ha espresso condivisione per le ragioni della petizione e ribadito
l’importanza dell’impegno diretto dei cittadini in questa battaglia di cultura
e civiltà”.
Il messaggio di Silvia Costa è questo:
“Gentile Cristina,
Condivido le sue valutazioni critiche sulla statua che
rischia di dare un messaggio ambiguo e morboso su un tema che merita
delicatezza e sensibilità nella sua rappresentazione.
Era uno di quei casi in cui il riferimento simbolico o metaforico in chiave
artistica avrebbe dovuto avere un significato e una efficacia forte ma più
coerente con la controversa materia.
Condivido quindi il senso della vostra petizione anche
se non so quale esito potrà avere il mio pronunciamento. Ritengo infatti
prioritaria la pressione delle cittadine e dei cittadini più direttamente
coinvolti localmente.
Aderirò tramite il vostro sito.
Con molti auguri, Silvia Costa”
La seconda notizia riguarda una lettera aperta ai
sindacati da parte di Di.Re. Argomento, lo so già,
che verrà giudicato scomodo da molti. Invece, vale la pena di leggere.
“D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza - ritiene
grave ed inopportuna la scelta di invitare al concerto del Primo Maggio
Fabri Fibra, il rapper italiano che divulga nei testi delle sue canzoni
messaggi sessisti, misogini, omofobi, e canta l’apologia della violenza contro
le donne.
In Su le mani alcuni passaggi esaltano la violenza con
riferimenti a una dolorosissima vicenda che scosse l’Italia negli anni ‘80 e
che contò 16 vittime.
In Venerdi’ 17 canta lo stupro e l’assassinio di una
bambina di 12 anni ed esalta azioni violente contro le donne.
Nel 2012 sono state oltre cento i femicidi. Le donne
che si sono rivolte ai centri sono state 14mila: un dato che rappresenta solo
la punta dell’iceberg di un fenomeno in gran parte sommerso e alimentato da una
cultura attraversata da stereotipi sessisti, modelli di mascolinità prevaricanti
e violenti, discriminazioni contro le donne. La questione dell’inefficacia
delle politiche di contrasto alla violenza contro le donne, anche in relazione
alla mancanza di prevenzione tra i giovani e le giovani è stata stigmatizzata
nel 2012 da Rashida Manjoo, special rapporteur dell’Onu, che ha richiamato l’Italia ad una corretta applicazione della
Cedaw. Il linguaggio dei media e della rappresentazione del corpo delle donne
nella pubblicità è un problema che ancora è lontano dall’essere risolto.
Ci domandiamo allora, qual è la motivazione di questa scelta dei sindacati? E’ opportuno che si
divulghino dei messaggi violenti in occasione del Concerto del Primo Maggio, a
cui assisteranno molti giovani e molte giovani, e che, ancora una volta,
si faccia spettacolo con la violenza contro le donne?
L’associazione D.i.Re chiede ai sindacati di fare una
scelta responsabile e di revocare l’invito al rapper italiano nel rispetto
delle donne e di tutte le vittime di violenza omofoba e di femminicidio”.
Quanto meno, rifletteteci. Solo questo.
Loredana Lipperini
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