Urlo Violata è di Carla Giacchella, Gioconda Violata e Venere Violata sono di Eugenio Saguatti

Che storia è questa?

Il 23 marzo 2013, appena fuori da una galleria e dal centro di Ancona, viene inaugurata “Volata”, il monumento in onore delle donne vittime di violenza, voluto da diverse istituzioni tra cui il Comitato per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna della Regione Marche e realizzato da Floriano Ippoliti sul modello di una sua precedente opera titolata Donna con borsa. La statua, un po’ per il colore, un po’ per l’opinabile messaggio, viene prontamente avvistata da Emanuela Ghinaglia, rappresentante del comitato Se non ora quando di Cremona, che lancia un appello su facebook al fine di rimuoverla. Cristina Babino e Alessandra Carnaroli sono le promotrici della petizione, che nel giro di pochi giorni supera le 1700 firme, loro iniziativa anche i numerosi appelli e comunicati stampa rivolti alla Commissione Pari Opportunità nella continua ricerca di un confronto e un dialogo sulla questione.

Violata ha già iniziato un nuovo viaggio e ha già conquistato nuovi significati, grazie a tutti coloro che hanno partecipato ironicamente, artisticamente, ideologicamente, concettualmente, teoricamente e praticamente alla protesta. Questo blog prova a raccogliere i contributi, gli articoli e la documentazione relativa alla vicenda, senza escludere anche i pareri favorevoli alla statua.

Qualsiasi sia il destino di Violata speriamo non sia quello di rappresentare le donne vittime di violenza, nella speranza che questo episodio sia l’espediente per affrontare meglio la quotidiana tragedia di cui le donne non dovrebbero più essere protagoniste, perché il rispetto è un diritto SEMPRE, come recita la targa su cui poggia Violata…

Elena Pascolini


giovedì 28 marzo 2013

UNO STRACCIO PER IL FEMMINICIDA di Loredana Lipperini


Sul Resto del Carlino di ieri viene dato ampio spazio al caso della statua di Ancona. Tra gli altri servizi (qui si legge l’intervista allo scultore Floriano Ippoliti), Maria Gloria Frattagli rivolge qualche domanda a Vittorio Sgarbi. Queste le risposte:
«E’ triste che ci sia bisogno di fare una statua contro la violenza sulle donne. Come se la loro vita valesse di più di quella di un omosessuale ucciso o di un gioielliere ucciso come accaduto nei giorni scorsi a Milano. Non riesco a capire perché si debba dare maggiore valore a questa cosa, credo che le donne stesse siano le prime ad opporsi». Parole di Vittorio Sgarbi, buon conoscitore di Ancona, che chiamato in causa per dire la sua sulla statua da critico d’arte parla più del valore simbolico che della scultura e di come esteticamente è stata giudicata.
Mal’opera le piace?
«La statua non mi sembra brutta se fosse stata all’interno della Mole Vanvitelliana nessuno se ne sarebbe accorto o perlomeno non avrebbe fatto tutto questo rumore. La discriminazione sarebbe rimasta all’interno di quattro mura invece che mostrarsi a tutta la città».
Quindi più che un motivo artistico c’è una ragione strumentale?
«Esattamente. Ancona è una città incolta, forse la più incolta d’Italia che dà spazio a una moda tra l’altro su un reato che è stato inventato, ovvero il femminicidio. Possiamo dire che l’omosessualicidio non esiste? No, non lo possiamo dire. Io non sono per la visione di genere, per esempio sono frequentemente soggetto a stalking non per questo mi hanno fatto una statua. E non credo che Ancona d’ora in poi riempirà al città di statue di tutti i soggetti che più frequentemente vengono uccisi».
Lo speriamo…
«Ripeto, la statua in sé non è nemmeno brutta, ma proprio non ne riesco a capire il motivo, cioè cosa l’artista volesse esprimere perché non c’è ragione di accettare il ricatto del soggetto, si poteva benissimo fare una statua per ricordare tutti i tipi di violenze, avrebbe avuto più senso, sarebbe stata più adeguata ai tempi che stiamo vivendo».

Le argomentazioni di Sgarbi sono quelle consuete dei negazionisti del femminicidio: perché diversificare l’assassinio delle donne (in quanto abbandonanti, da parte di uomini di abbandonati, nella maggior parte dei casi) dagli altri tipi di violenza? Qui fornisco solo una risposta: perché nel momento in cui una tipologia di delitto viene reiterata con modalità quasi identiche, è non solo corretto, ma necessario che si chiamino le cose col loro nome. Anche con tutti i pregiudizi estetici sul nome medesimo. La risposta è parziale: ma aggiungo che fra poche settimane, nella seconda metà di aprile, potrete leggere un ragionamento più approfondito in un pamphlet scritto a quattro mani con Michela Murgia. Si chiama “L’ho uccisa perché l’amavo” e uscirà per Laterza, collana Idòla. Ne riparleremo.
Peraltro, parlare di femminicidio significa parlare anche degli inconsapevoli assist che vengono forniti dal mondo dell’immaginario. Pubblicità inclusa. Ieri mattina ho letto su Repubblica una lettera di una lettrice, Roberta Miniero, giustamente indignata per i cartelloni pubblicitari apparsi a Napoli. L’ho contattata via mail e le ho chiesto di fotografarne uno. Dunque?

















Di Loredana Lipperini


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