In Italia le donne devono difendersi anche dalle statue
Ci mancava anche questa. Dopo la
testimonianza eclatante dei dati che segnalano una crescita del numero delle
violenze sulle donne tra le mura domestiche, l’ennesima umiliazione per le
vittime arriva dal mondo dell’arte e della cultura. Da qualche giorno, infatti,
ad Ancona, è stata posizionata l’opera intitolata “Violata”, dell’artista
Floriano Ippoliti, commissionatagli dal Comitato per le pari opportunità della
Regione Marche, che oltretutto ha speso ben 17.000 euro per l’occasione.
L’opera ha immediatamente suscitato le proteste da parte delle donne, che hanno
manifestato la loro indignazione con un sit-in e con la raccolta di 670 firme
per la sua rimozione. Ma perché la scultura non è stata accolta con
favore? Perché le donne, protagoniste di questi barbari episodi non si sono
sentite rappresentate in alcun modo dall’oggetto, che al contrario è stato
percepito come un’offesa.
La scultura rappresenta una donna con i
vestiti stracciati, in una mano una borsetta da passeggio e l’altra vuota e
spalancata; dai vestiti stracciati emergono le natiche e due seni ben torniti.
Le proteste sono andate tutte nella stessa direzione: la borsetta fa pensare
che la maggior parte degli stupri si consumi in strada, ma i dati parlano
chiaro ormai da anni che una grande percentuale di violenze si svolge entro le
mura domestiche. E poi quell’aria di sicurezza emanata dal volto e dalla
postura della statua che non coincidono assolutamente con l’animo di una donna
che ha appena perso la propria dignità, umiliata e violata, nella maggior parte
dei casi proprio da chi le stava accanto. Infine, ci sono le parti intime
scoperte che rendono la statua un simbolo evidente dello stereotipo maschilista
della donna bella e formosa.
Nonostante le proteste, il Comitato per le
pari opportunità delle Marche non è intenzionato a voler rimuovere la statua.
In una nota della commissione regionale per le pari opportunità si afferma:
“Non c’è alcuna intenzione di rimuovere la statua, perché ciò significherebbe
non voler abbattere il muro di omertà e ipocrisia che ha sempre circondato la
violenza di genere”. E continua: “Ogni forma di violenza, infatti, è
conseguenza della mancanza di questa cultura che va trasmessa coinvolgendo
direttamente anche chi si sente estraneo a questo problema per costringerlo a
riflettere. Questo è l’obiettivo che ci si era prefissati di raggiungere, senza
mai rinnegare il confronto su tutte quelle azioni che possono migliorare e
incentivare la cultura del rispetto nella nostra società”.
Si dice che il compito dell’arte sia
quello di provocare emozioni forti. Sembra che in questo caso la statua ci sia
riuscita benissimo, ma il destinatario è quello sbagliato. A sentirsi offese
sono infatti le donne, quelle che hanno direttamente subito violenza e tutte le
altre. Si parla di omertà, quando le donne chiedono di rimuovere la statua.
Penso invece che ci sia una sostanziale incomprensione di fondo. Con la
richiesta di togliere la statua si cerca semplicemente di rimediare ad un
errore.
Oltre alla beffa, il danno: secondo i dati
ISTAT, in Italia, nel 2013, la percentuali di stupri, violenze domestiche e
uxoricidi è salita in modo considerevole; in particolare, la violenza fisica è
aumentata dal 18% al 22%. Sempre i dati confermano che le violenze sono
compiute nella maggior parte dei casi da fidanzati o mariti e che il carnefice
è quello che si può definire come “uomo medio”, normale, che non assume sostanze
stupefacenti e privo di dipendenze da alcol.
Colpevole è anche lo Stato: molti centri
antiviolenza, nei maggiori capoluoghi regionali, sono lasciati a marcire per
mancanza di fondi per tenerli aperti. Per il centro antiviolenza di L’Aquila,
in occasione del terremoto del 2009 (durante il quale crollò), sono stati
stanziati ben tre milioni di euro che non sono mai stati spesi. I tre
milioni sono ancora nelle mani del governo; a tutt’oggi pare che non siano
stati presi provvedimenti per ricostruire il centro, le donne che avrebbero
dovuto esservi accolte sono obbligate a stare nei container e le
professionalità che vi operano sono gratuite. Quello di Messina non ha
potuto nemmeno partecipare al bando dei 10 milioni di euro del piano
antiviolenza stanziati, per i centri nuovi e per i già esistenti, dall’allora
ministro Carfagna.
I centri antiviolenza sono delle strutture
destinate ad ospitare le donne che vogliono fuggire dalla casa in cui abitano
con il proprio partner e che non possono, per motivi finanziari, vivere in modo
autonomo. Qui le donne possono portare anche i propri figli, che assistono
nella maggior parte dei casi agli eventi di violenza. Il fenomeno si
chiama “violenza assistita” e si verifica nell’82% dei casi delle donne che
chiamano il Telefono Rosa. Se questi bambini non vengono subito affidati a
delle cure psichiatriche, rischiano gravi conseguenze per il proprio equilibrio
psichico e per il loro adattamento sociale.
Tra statue –stereotipo, cultura
maschilista e inadeguatezza dell’intervento statale, le donne in Italia sono
ancora in pericolo. In grave pericolo.
Valentina Montemaggi –ilmegafono.org
http://www.ilmegafono.org/?p=12019
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.